Alto e solitario, a circa metà del Monte
Grifone, su un poggiolo a duecento metri di altezza, nella parte più
alta del Convento di Santa Maria di Gesù, svetta un antichissimo albero,
il più vecchio di Palermo e addirittura uno degli esemplari di cipresso
tra i più vecchi d’Italia.
Un albero prodigioso, la cui vita è strettamente legata alla vita di San Benedetto il Moro,
il primo Santo nero canonizzato dalla chiesa cattolica e proclamato,
per diversi decenni, patrono e protettore di Palermo insieme a Santa
Rosalia.
Secondo la tradizione, l’albero, ha
avuto origine dalla miracolosa radicazione del “bastone” che San
Benedetto il Moro usava per sostegno e che infisse in quel luogo, dove
il Santo si ritirava a pregare; accanto ad una piccola casetta che
ricorda l’eremitaggio del frate, oggi divenuta cappella e meta di
pellegrinaggi. La sua datazione risale a quattrocento anni fa, data in
cui è avvenuta la morte del Santo, nel 1589.
Lo si può raggiunge percorrendo una comoda stradina a gradoni, alberata e illuminata, alla sinistra del convento
Nel corso dell’anno numerosi pellegrini
si recano devotamente all’eremo per pregare ed immergersi nella
spiritualità del Santo. Tradizionale è il pellegrinaggio della seconda
domenica di Pasqua, domenica in albis, per ricordare il transito di San
Benedetto, avvenuto il 4 aprile 1589, martedì di Pasqua, all’età di 63
anni, dopo trenta giorni di sofferenze per una gravissima malattia.
Prima di ricevere l’Eucaristia chiese perdono a tutti e a ciascuno dei
confratelli. Poi si spense serenamente in quel silenzio che tanto aveva
amato durante la sua vita. Possiamo vedere le sue spoglie, non del tutto
corrotte, all’interno della Chiesa del Convento di Santa Maria di Gesù.
L'albero visto dal convento Santa Maria di Gesù
La tradizione popolare, confermata da alcuni studiosi del settore, ha affermato la secolarità del cipresso, che ha una particolare forma: a sinistra i rami sono delle vere e proprie radici, mentre a destra è un vero cipresso. Questo perchè il Santo conficcò il suo bastone nel terreno capovolgendolo (...)