Firmava così i nostri lavori, al liceo artistico
di Roma, per due motivi: uno non farli ripresentare, visto che aveva molte
sezioni a cui insegnare ornato, e secondo perché giudicando un buon lavoro presentato
era come se ne approvasse il contenuto.
Il professore Remo Gerevini, cremonese di nascita,
noto artista negli anni settanta era amato e odiato da tutti gli alunni del
liceo per il suo modo di operare.
Ricordo perfettamente le sue parole quando spiegava la
tecnica per lavorare. Il talento lo devi avere tu diceva e lui riusciva a
tirare fuori il meglio da tutti noi. Fra i suoi insegnamenti c’era: “… una
linea parte da un punto e arriva a destinazione senza interruzioni, senza
tratteggiare … si lavora con la punta del colore pastello per fare una
campitura omogenea … assonanza e dissonanza … nello scomporre le figure
geometriche per ricostruire nuove forme” … etc. etc. Severo ma imparziale nel
proporre temi da svolgere, riusciva a farti amare la sua materia, e questo suo
metodo d’insegnamento - che a molti ha influenzato, me compreso, lo stile
artistico di lavoro - viene ancor oggi ricordato da tutti noi della IV E, che a
distanza di cinquant’anni, ci siamo ritrovati prima attraverso i social e poi anche
con taluni incontrandoci di presenza. Proprio grazie ai social c’è stato un
riavvicinamento con lo stesso professore che si trova ora a Catania, dove vive
e lavora se pur tra mille difficoltà, prima di tutti la carenza nella vista che
è indispensabile per dipingere le sue opere fatte a punta di pennello da
sembrare grafica.
Mi rimasero impresse nella mente, quando allievo
attento e preciso (parole sue) sollecitò la mia presenza nel suo studio romano,
per una proficua - anche se breve - collaborazione grafica. Le opere pittoriche
che stava preparando a quel tempo per una mostra in una famosa galleria di
Roma, avevano forme, colori, e fantasiosi arabeschi, che uscendo dallo spazio
della tela continuavano oltre la cornice. Io con i miei retini andavo a “campire”
spazi esterni, completando e integrando l’opera stessa.
Dopo il diploma, nel ’74, ci siamo persi un po' con
tutti quanti. Trasferitomi a Palermo, in occasione della mia prima mostra
pittorica, fu d’obbligo un suo commento-intervento. Partii, quindi, per Roma
con la cartella dei miei lavori per andare a rintracciare il professore (a quei
tempi, telefonini, email e social erano fantasia).
Arrivato al liceo artistico, che fatta eccezione di
quello più famoso di via Ripetta, non era secondo a nessun altro a Roma e non
solo, ci ritrovai amici, insegnanti, nuovi professori, bidelli che all’epoca ti
organizzavano le ricreazioni con le ciriole con la mortadella per l’intervallo,
senza uscire dalla scuola però, erano altri tempi.
Dopo un primo momento di “carramba che sorpresa”, le
notizie sul professore per me non erano per niente buone. Erano trascorsi
appena quattro anni e nessuno ne sapeva più niente, solo Nicolino - un bidello
fuori dal comune per il suo amore nel lavoro - mi disse che forse si era trasferito,
ma non sapeva dove, ricordava vagamente in Sicilia … “Aspetta che m’informo
meglio”. Si, si era trasferito a Palermo e lì era il direttore del Liceo
Artistico di via Michelangelo.
Come? Io parto per rintracciarlo e lui era qui a casa
mia? Le beffe della vita.
Ritrovandoci a Palermo e ricordando i bei tempi
trascorsi da ognuno di noi al liceo e poi all’università, portammo a termine la
mia prima mostra, nel marzo del ’78, in una galleria ubicata vicino al Teatro
Massimo, luogo storico della città. La prefazione di sua moglie, un critico
d’arte che purtroppo oggi non è più con noi, nella circostanza esaltò la
creatività del lavoro, che approfondiva il reale filtrandolo attraverso una
realtà piena di suggestioni e ansie. Il saluto e l’augurio che il professore mi
rivolse furono la speranza di vedere altre mie opere più importanti. Ciò che
aveva visto gli aveva peraltro confermato che non si era sbagliato
nell’individuare in me un bravo artista. Mi spronò pure ad approfondire la
tecnica “optical” che tanto mi aveva appassionato al liceo.
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L'uomo e il capitale 1978 |
Seppur con qualche tempo, puntualmente l’opera
pittorica dopo quarant’anni di varie vicissitudini, approdò al traguardo grazie
anche alla fotografia. In una mostra dove si accostava la fotografia alla
creazione di opere futuristiche della realtà virtuale e che intitolai, appunto,
“La Cala 3.0”. In qualche modo l’operazione era una correlazione delle opere
giovanili del ’78 con quelle degli anni moderni, e l’evento vide luce nel 2019.
Anche questa mostra venne caldeggiata dal professore
che, nel frattempo e ormai avanti con gli anni, si era stabilito a Catania.
Questa volta, quindi, non potè essere presente all’inaugurazione.
Il mio amato professore era però costantemente
ricordato nelle mie opere. In un quadro personalizzato avevo pure inserito
parti delle sue opere insieme alle mie (rifacendomi a lavori a partire proprio
dal liceo, fino ad arrivare ad oggi). Il titolo che attribuii fu: “Omaggio a un
REGE”.
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Omaggio a un "Rege" 2019 |
I lavori presentati in mostra erano stati influenzati
anche dalla nascita dei miei nipotini, che così fanno parte integrante nella
realizzazione delle opere, e la gratificazione più bella, oltre quelle della
critica e degli amici, è stata proprio quella del professor Gerevini, il quale,
quando ha visto le opere che gli ho inviati via email alla figlia, (perché lui
con la tecnologia non ci vuole avere niente a che fare), ha detto:
“Complimenti! Alcune di queste opere avrei voluto farle io”!
Un complimento che mi ha riempito di gioia, che mi
onora e mi lusinga del tanto affetto e stima del professore nei miei confronti.
Sentimenti reciproci e rimasti immutati nel tempo.
Lo scorso marzo, ci siamo sentiti telefonicamente per
commentare le opere che ho riproposto in una nuova mostra e, fatalità, quel
giorno corrispondeva a quello del suo compleanno. Ottantacinque anni portati
splendidamente, a sentire la sua voce e lucidità mentale, una semplice
coincidenza, o la stima, l’affetto che provo per il maestro che ha influenzato
la mia vena artistica è da considerarsi gratitudine? A voi lascio la libera
interpretazione.
Palermo,
05/06/2020
Angelo
Battaglia